Il ragazzo seduto di fianco a me in aereo è di Marrakech, ma vive in Italia da otto anni, in un paese a qualche chilometro da casa mia. Fa il metalmeccanico, ora è in cassa integrazione. Questa è la terza volta che torna a casa da quando è venuto a vivere in Italia, da otto anni, il volo per il Marocco costa molto e i soldi preferisce mandarli alla famiglia. Facendo un veloce calcolo io negli ultimi otto anni sono stata a Londra sette volte. Ho dormito più volte io al Russel House Hotel che lui nel letto di casa sua.
Vorrei lasciare la magia di Marrakech e il silenzio del deserto per i prossimi post e inaugurare i racconti sul Marocco parlando della cosa che più mi ha stupito e colpito di questo viaggio: la generosità dei marocchini.
Il nostro autista è un uomo sulla quarantina, in gamba, sicuramente non ricco, ma molto dignitoso, si chiama Skouri. Per pranzo si porta il pranzo al sacco, un panino integrale con formaggio e pomodori, avvolto nella carta stagnola. Lo tiene nel portaoggetti sotto al bracciolo tra i due sedili anteriori della nostra jeep 4×4. La seconda mattina del nostro viaggio stiamo attraversando un villaggio berbero tra i monti dell’Atlante: poche case, tutte fatte di fango e paglia, mezze sciolte dalle intemperie. Ci fermiamo per fare due passi e incrociamo due ragazzi, uno è senza gambe e l’altro spinge la sua carrozzina. Ci salutano sorridenti e noi rispondiamo al saluto con la mano. Skouri si stacca dal gruppo, in francese ci dice di proseguire, che ha lasciato una cosa in macchina. Noi continuiamo la nostra passeggiata affascinati dalla diversità dei paesaggi, delle persone, dai continui sorrisi aperti e luminosi. Mi giro verso la macchina per non perdere di vista Skouri e rimango fulminata dalla scena: entra in macchina, prende il suo panino e lo mette nella tasca del giubbotto del ragazzo in carrozzina. Il ragazzo lo ringrazia e si sporge per abbracciarlo, Skouri si abbassa e risponde all’abbraccio. Rimangono così per un po’, poi si salutano e lui si avvia verso di noi. Io mi rigiro in fretta, sentendomi un po’ in colpa per aver visto questo momento così personale, per avergli rubato l’intimità di un gesto che lui aveva appositamente fatto in maniera riservata. Ci raggiunge sorridendo, non dice niente, io gli sorrido e continuiamo a camminare. Dopo un po’ torniamo indietro e risaliamo in macchina. Proseguiamo qualche chilometro e poi ci fermiamo in un barettino per pranzo, lui ordina solo un caffè, “Ho fatto una colazione abbondante – ci dice – oggi niente panino”.
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