Diario-brainstorming di un road trip tra i parchi degli USA

Il road trip piu bello del mondo

“Ohana significa famiglia e famiglia vuol dire che nessuno viene abbandonato o dimenticato”

Questo viaggio è stato un po’ più speciale degli altri perché le mie compagne di viaggio erano mia mamma e mia sorella.
Quando vivi a diecimila chilometri da casa, dieci giorni così sono il regalo più grande.
Tutte quelle ore di macchina in mezzo al nulla passate a chiacchierare, cantare, stare insieme, sono preziose più di qualunque altra cosa. Continue reading

Malta: porticine, maniglie e i nomi (dolcissimi) delle case

Questo post avrà senso per me e per altre tre persone esaltate di porticine (vi prego se siete là fuori fatevi vedere nei commenti per farmi sentire meno sola in questa follia), però capitemi, ho l’iPhone intasato di foto di porte e finestre, dovrò pur farle vedere a qualcuno.

Ebbene sì, io passo ore e ore a fotografare le porticine quando sono in viaggio. E quando sono stata a Malta mi è scoppiata la testa: ce n’erano tantissime, tutte colorate, curate, ognuna con una maniglia diversa.
E qui è nata una nuova perversione: potevo non fotografare OGNI MANIGLIA sul mio cammino?
Non potevo.
E infatti ve le beccate tutte:

Maniglie delle porte a Malta Continue reading

10 cose da vedere e fare a Stoccolma (+1, facoltativa, se avete più tempo)

Per un’appassionata di liste come me “le 10 cose” sono sempre un giochino divertente.
Se poi hanno a che fare con i viaggi allora sono una goduria vera.

Questa volta tocca a Stoccolma, una città che ho amato tantissimo, in cui mi sono divertita da matti di cui ho un ricordo davvero dolce.

Dolce in tutti i sensi: sia perché ero con tre persone importantissime e speciali, sia perché ci siamo abbuffati vergognosamente di kanelbullar e varie schifezze svedesi.

Ne ho scritte dieci e poi ho pensato che ce ne stava anche un’undicesima, ma andava messa a parte.
Quindi ho sgarrato un po’, e ho anche scritto un titolo indegno, ma a fin di bene.

Eccovi le 10 cose + 1 da fare a Stoccolma!

Dettagli di Stoccolma Continue reading

Stalking mode: on!

Non so se è più l’istinto della fotografa o quello della stalker: ci sono certi visi, certe espressioni, certe smorfie che io mi incanto ad osservare. Seguo con lo sguardo la linea del profilo, le rughe sulla fronte, la forma delle mani. Osservo il riflesso degli occhi, la piega della bocca, la scelta della pettinatura. Seguo i gesti, i movimenti. Non con malizia o morbosità, direi piuttosto una sorta di interesse scientifico, una curiosità innata nei confronti della specie umana.
No, bello, detta così sembro un incrocio tra Piero Angela e uno spettatore del Grande Fratello, shakerati con un po’ di schizofrenia.

Prima o poi mi arresteranno, ne sono convinta.
Ma non capita anche a voi di fantasticare colpiti da un particolare, un oggetto, un libro? Pensare “chissà dove sta andando?“, “chissà a chi sta scrivendo?”, “chissà qual è la sua storia…”
In particolare quando sono in macchina o in treno all’estero, e mi capita di attraversare interi quartieri di palazzi e di case, mi ritrovo sempre a pensare all’immensità di vite e storie che sono racchiuse dietro quelle piccole finestrine. Ogni finestrina, ogni appartamento, ha dietro una vita, una felicità, una sofferenza, un amore, un segreto, un sogno. Ci pensate?
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Stoccolma: aria fresca e tè caldo

Il ricordo più bello di Stoccolma è un pomeriggio intero passato in un barettino piccolissimo, tutto arredato in legno, a fare delle chiacchiere davanti a tè e torte ai lamponi.

Ci sono stata a febbraio di qualche anno fa, l’unica settimana di sole in un inverno rigidissimo, a visitare un’amica in Erasmus. Prima di partire ero scettica, Stoccolma non era tra le mie mete ideali, me la immaginavo fredda, asettica, un po’ cupa e poco interessante. “Ma di tutti i posti belli e caldi dovevi proprio scegliere Stoccolma?”
Per di più la sua casina non era propriamente a Stoccolma, ma a Tullinge, un paesino dimenticato da Dio a mezzora di treno dalla capitale, nella foresta.

Ci armiamo di spirito di avventura e partiamo.

Sarà stato il sole tutti i giorni, il cibo, la compagnia, ma Stoccolma ha vinto tutti i miei pregiudizi e si è conquistata dei ricordi davvero felici.

La prima cosa bellissima della Svezia è che mangiano in maniera obesa! 🙂
Dolci e tortine in quantità.. sempre!
Si inizia la mattina con una colazione a base di caffè, latte, cereali, frutta, cracker, qualche affettato e formaggio.
Si pranza alle 11 circa con una fetta cicciona di torta e qualcos’altro di ipercalorico.
Alle 14 si fa la fika (giuro), la “merenda” svedese con caffè e kanelbullar (mmm…).
Si cena alle 18 con una fettazza di carne o pesce insaporita con salsine e verdure (o in alternativa pasta scotta condita col ketchup, true story). Un piatto tipico per la cena sono le kötbullar, polpette speziate servite con purè e una salsa marrone densa.
Alle 21 circa ci si ritrova tutti a casa di qualcuno per mangiare dolci davanti alla televisione, rigorosamente senza scarpe.

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L’odissea del tappo della Canon

Spesso si sentono frasi come “la mia macchina fotografica ha viaggiato per il mondo con me”, “la mia Canon ha visto tutti i continenti” e varie altre versioni combinate.

Ecco.
Per me la frase giusta è:

“Il tappo della mia Canon, non solo ha visto il mondo con me, ma ne ha visto anche un bel pezzo in più da solo!”

L’ho perso/lasciato in giro così tante volte che ormai si è fatto il passaporto.

C’è una premessa dovuta: le reflex della Canon hanno il tappo dell’obbiettivo che non è collegato alla macchina, quindi quando lo si stacca il tappino è lasciato al suo destino. Finisce in tasche, borse, zaini, autobus, muretti, spiagge e tanti altri posti in cui spesso e volentieri viene dimenticato (da me).

Qualche anno fa avevo una reflex della Fujifilm: le foto venivano molto peggio, ma il tappino rimaneva attaccato alla macchina con un utilissimo cordoncino nero. Cioè, ci ha pensato la Fuji: Canon, seriously?

Questo post è ispirato dal fatto che fino a pochi minuti fa il mio tappino era disperso. Ho ricevuto una mail da un’amica che se l’è ritrovata nella valigia, ora lo sta accudendo e presto tornerà a casa.
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iPhoneography: quello che Cartier-Bresson faceva con il rullino.

Questo post è ispirato da Giorgio Fochesato e dalle foto su Instagram di Chiara di Machedavvero?

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Io ho una Canon e appena ne ho l’occasione la porto con me: fotografo visi, oggetti, luci, attimi, panorami, particolari

Ho anche un iPhone e ogni giorno scatto almeno una decina di foto: fotografo visi, oggetti, luci, attimi, panorami, particolari, fotografo gli orari dell’autobus per ricordarmeli, una frase di un libro per non dimenticarla, la carta d’identità perché non ho la fotocopiatrice.

L’iPhone permette di avere sempre una macchina fotografica con sé. La vera rivoluzione sta qui: poiché la sostanza è più importante della forma, l’iPhone vince perché, pur a scapito della qualità, dà la possibilità di cogliere attimi che altrimenti si perderebbero per sempre (vedi post sulle foto Carpe diem). Il grande sogno di ogni fotografo è quello di essere nel posto giusto, al momento giusto, con una macchina fotografica in mano. L’iPhone aumenta esponenzialmente le possibilità che ciò accada.

Non ti perdi la signora che in treno si addormenta in una posizione assurda.

Non ti perdi la luce pazzesca che incontri mentre torni a piedi dal lavoro.

Non ti perdi gli spaghetti in lattina del supermarket in UK.

Instagram ha poi aggiunto un tassello in più: la foto è diventata un messaggio, un pezzo di identità. La possibilità di aggiungere un centinaio di caratteri e di condividerla sui social apre porte impensabili pochi anni fa.
Cambiano i soggetti e cambiano gli intenti della fotografia.
Si fotografa per condividere. Per farsi conoscere, per farsi scoprire. Per comunicare con gli altri (vedi le foto bellissime di Chiara, su Instagram la seguono tutte le sue lettrici, diventa un vero e proprio canale di comunicazione).
E poi si tagga, si hashtagga e si geolocalizza.
Le foto non sono più il punto di arrivo, ma un punto intermedio, un mezzo per un diverso fine. Si passa dalla foto per raggiungere un link, un luogo, una persona.

(Mi viene in mente il libro “I Barbari” di Baricco, e tutto il discorso che fa sul surfare sulle cose piuttosto che immergersi, vi consiglio di leggerlo.)

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La “pezza da treno” VS il sole di primavera

Fare il pendolare è senza dubbio una rottura di palle.
Stanca, anzi, sfianca.
Per non parlare dei treni: sporchi, in ritardo, sovraffollati, disorganizzati.

Ogni giorno della settimana passo circa due ore in treno, fra andata e ritorno, per andare a lavorare.
La mattina esco di casa al volo con un biscotto tra i denti e la musica nelle orecchie.

L’inverno è la stagione peggiore per i pendolari: l’aria è gelida ed è buio. Uno già si sveglia incazzato, l’idea di dover andare in stazione a prendere del freddo non è un pensiero felice.
Poi io sono anche un po’ misantropa e la stazione di mattina è una zona pericolosissima: vecchi compagni delle elementari e cugini degli amici in agguato per attaccarti la celeberrima “pezza da treno”. So che sapete di cosa sto parlando. Incontrare una persona conosciuta (non un amico, chiaro) mentre si sta salendo in treno è il male assoluto. La situazione ti costringe a far conversazione e il buon costume ti suggerisce di sederti vicino al maledetto. Dopo i primi due minuti di chiacchiere gli argomenti sono finiti e i casi sono due: o si tira fuori libro/auricolari/computer dichiarando che è il momento in cui ognuno si fa i cazzi suoi (ma, pur essendo una grande tentazione ogni volta, è molto scortese, lo sconsiglio), oppure si continua a trascinare la conversazione, arrancando ogni due minuti per mancanza di argomenti, guardando il panorama alla disperata ricerca di ispirazione, fiondandosi fuori dal vagone appena arrivati a destinazione. Io salgo sempre sperando che non ci siano posti vicini, ma neanche due nello stesso scompartimento possibilmente.

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Carpe diem.

Oggi seduto di fianco a me sul treno c’era un tizio che si mangiava un tramezzino veramente invitante.
Questo tizio ad un certo punto ha tirato fuori un iPhone e ha cominciato a giocare a FarmVille. Ho anche fatto un po’ una figura di merda perché mi è scappato da ridere pensando alla parodia della pubblicità di Trenitalia di Natalino Balasso.
Dopo aver perso tutta la mia stima, ne ha riguadagnata gran parte quando ha bloccato lo schermo: come sfondo aveva una foto bellissima. Era una foto di Markus Reugels, veramente un grande fotografo. La foto faceva parte di questa serie, io come sfondo del Mac ho questa:

(C) Markus Reugels

Il buon Markus riesce ad immortalare il millisecondo in cui la goccia riflette perfettamente il mondo. Potete immaginare quante foto avrà fatto prima di raggiungere questo livello di perfezione?
Bene, questo per dire che dà lì mi è partito un viaggio galattico sul valore degli attimi nella fotografia. Ci sono certe foto che colgono precisamente l’attimo, che vengono scattate nell’attimo giusto, come se l’universo in quel momento si fosse allineato davanti al tuo obbiettivo. Ti danno un po’ la sensazione che dà il déjà-vu, di essere nel posto giusto al momento giusto, nel mondo. Sono le foto carpe diemContinue reading

Via che si va, col primo post.

Strappiamo sto cerotto, che è tre giorni che ho aperto il blog e guardo la pagina come se dovesse scriversi da sola.

Il primo post va di diritto a Londra.
Lo so, ne scrivono tutti. Mi rifarò.

Ci sono stata almeno dieci volte, cioè dovrei mettermi a contarle ma mi scoccia. La prima addirittura alle medie con una vacanza-studio, accompagnata da un fighissimo teacher del Kent. L’avevo rimosso, il blog dà già i primi frutti, eccellente.

Londra, dicevo, è bellissima perché è fatta di particolari, e di particolari ce n’è per tutti.

via che si va1

Vedi la gente, sulla metro e per strada, vestita “con la fionda” come direbbe mia nonna. I londinesi sembra che la mattina si tuffino dentro l’armadio ricoperti di colla vinilica e poi se ne vadano allegramente al lavoro vestiti come dei disadattati. E la cosa splendida è che nessuno se li caga. Nessuno. (Cioè, nessuno a parte gli ignorantissimi italiani in gita che urlano da una parte all’altra della metro “Aò anvedi comme sta apparecchiata demmerda questa!”)
Una volta sono uscita con i pantaloni del pigiama, ridacchiavo tra me e me pensando che in Italia avrebbero già chiamato la neuro e i servizi sociali.
Devo ammettere che un paio di volte alle superiori sono andata a scuola con la maglia del pigiama sotto la felpa, ma erano altri tempi… l’ingenuità, l’adolescenza, le cavallette…

Tanto per dire, la gente, a Londra, mette i gatti in vetrina:

(Gatti vivi. E anche un po’ incazzati.)

La gente a Londra è di tutti i colori e ha delle facce pazzesche.
Una volta vorrei andare a Londra solo con la Oyster e piazzarmi sulla metro a fotografare le persone.
Prima o poi comunque mi prendo un manone sicuro, a New York ci sono andata soooo close… ma questa è un’altra storia.

L’ultima volta che sono andata a Londra ero sulla metro la notte di Halloween ed è salita una ragazza vestita da hawaiana (non so cosa in che modo avesse a che fare con Halloween, probabilmente che il vestito era così brutto da far paura *ba dum tss*).
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