La piccola me e le formichine di Fabio Vettori a Moena

C’è questa sensazione che accomuna ogni cosa quando si è piccoli: tutto sembra grande e lontano, perfetto e irraggiungibile.
I nostri genitori sono dei superbabbi e delle supermamme, invincibili e indistruttibili, sempre con la soluzione pronta, che fanno lavori importantissimi e senza neanche un 5 nella loro carriera scolastica.
Le sorelle grandi sono splendide e hanno delle amiche simpaticissime. Degli amici maschi poi non ne parliamo: tutti affascinanti e inavvicinabili (anche quelli che ad anni di distanza ti rendi conto essere dei veri e propri rospi).
I nonni sono delle rocce, vecchi da sempre e saggi più di un’enciclopedia.
La prima volta che mio nonno mi disse che non sapeva rispondermi a una domanda ci rimasi malissimo: “Non lo sai, nonno?! Ma sei così vecchio che ormai avrai studiato tutto quello che c’era da studiare nel mondo, è impossibile che tu non sappia qualcosa!”.
E non dimenticherò mai il suo sguardo dolcissimo mentre rispondeva alla me seienne: “Io so tante cose, ma non tutte. Sono sicuro che ci sono delle cose che tu sai e io ancora non so. Potresti sicuramente insegnarmi qualcosa.”
Davvero il più saggio, anche senza sapere tutto.

I cantanti e gli attori poi non ne parliamo, per un bambino vivono talmente nell’iperuranio che i personaggi dei cartoni animati sembrano quasi più reali.
Poi ci sono proprio gli idoli. Tipo io adoravo Cristina D’Avena e Marco Columbro, vai a capire perché proprio quei due. Columbro, poi.

Ma sopra tutti, lassù sul podio degli idoli dorati e irraggiungibili, per me ce n’erano tre: Gianni Rodari (Favole al telefono e Il libro degli errori li rileggo ancora ogni tanto), Silvia Ziche (che disegnava le mie storie preferite di Topolino) e Fabio Vettori (che disegnava le formichine).
Da piccola ero abbastanza fissata con questa cosa dei libri e dei disegni, lavorare nella redazione di Topolino era il mio sogno nel cassetto.
E poi c’erano quelle formichine che mi piacevano da matti, ne disegnavo in continuazione e trasformavo tutti i miei amici in formichine e mi perdevo a osservare gli splendidi mondi che prendevano vita dalla matita di Fabio Vettori.
Disegnava degli universi, delle storie intricatissime in un’unica immagine. Passavo le ore a scovare tutti i più piccoli dettagli nelle sue tavole.
Tipo questa, con le formichine che costruiscono l’arcobaleno:

poster arcobaleno fabio vettori

“Arcobaleno” © Fabio Vettori – www.fabiovettori.com

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Design, legno chiaro, Igor: l’Hotel Costabella a Moena

Ve l’avevo già raccontata la teoria di mia zia sugli alberghi?
Se no, ve la racconto ora.

Quando si parla di viaggi mia zia non ci risparmia mai la sua perla di saggezza:
Se devo andare in un hotel e stare più scomoda che a casa, piuttosto rimango sul mio divano che mi riposo di più.

Ecco, io di solito negli hotel in cui vado sto sempre più scomoda che a casa. Dalla Malesia agli States ho dormito in delle bettole che perfino i gestori erano increduli quando gli chiedevamo se c’erano delle camere libere. “Tanto ci dobbiamo stare solo per dormire!

Però poi quando capiti in degli hotel che ti tolgono il fiato capisci che la zia effettivamente non ha poi tutti i torti. Perché effettivamente se l’hotel è accogliente anche la vacanza poi è migliore.

Tutta questa intro per raccontarvi che: questo weekend sono stata a Moena in occasione del #bloggerWEmoena, e in particolare sono stata ospitata da Patrizio, all’Hotel Costabella, al Passo San Pellegrino, immersi nella natura.

All’entrata c’è Igor, il padrone di casa, che accoglie gli ospiti con grande calore: un’annusata e una strusciatina, i più fortunati vincono anche un bel leccotto!
Pochi secondi e si sentono strane parole provenire dalla stanza accanto: è Patrizio che richiama Igor in Ladino, l’unica lingua che capisce.
Io ho paura dei cani, ma lui è davvero buonone e tenerone, 35 chili di bulldog, affettuoso e educato. E colto: conosce il Ladino (chissà se al posto dei croccantini mangia i canederli).

Igor il bulldog dell'hotel costabella di moena

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