Ouarzazate in 10 scatti

Questo post fa parte del progetto In 10 scatti.

Questo è il primo post, quello dove spiego come funziona: Un nuovo progetto, una nuova sfida: #in10scatti.

Dieci fotografie (scattate rigorosamente da me) per raccontare una città, una volta alla settimana, per tutto l’anno.

Ecco a voi la mia Ouarzazate in 10 scatti.

Luogo incantevole, silenzioso, misterioso.

Di giorno pieno di luce, di sera illuminato dalle lanterne.

A Ouarzazate ho incontrato mercanti d’argento bellissimi, pittori che al posto delle tempere usavano lo zucchero, uomini che giocavano in strada con le carte uguali a quelle romagnole.

Poi tappeti colorati, costruzioni fatte di terra e acqua, lanterne accese dappertutto, un popolo cordiale e sorridente.

In Marocco ci voglio tornare, devo portarci una persona speciale che non ha mai visto questo pezzettino di mondo dove le persone hanno il cuore grandissimo.

Tutto il mondo è paese

Tutto il mondo è paese

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Il mio itinerario di una settimana in Marocco

Un post pratico per chi sta organizzando un viaggio on the road in Marocco.

Un po’ di informazioni generali per capire se è il viaggio che cercate:

  • Giorni: 8, dal 29 aprile al 5 maggio, temperatura perfetta.
  • Tappe: Marrakech > Kasbah Ait-Ben-Haddou > Ouarzazate > Zagora > Rissani > Merzouga e Deserto del Sahara (Dune Erg Chebbi) > Erfoud > Tinghir e Gole del Todra > Boumalne Dades e Gole del Dades > Marrakech
  • Chilometri macinati: 1.300 km
  • Persone: 4 (secondo me numero perfetto per un viaggio on the road)
  • Spesa totale del viaggio: 700 € a testa tutto compreso (aerei, riad, jeep, escursioni, mangiare, tè alla menta e shopping nei souk)
  • Mezzi utilizzati: aereo per/da Marrakech, jeep per fare tutto il giro.

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Il deserto svuota la testa.

Siamo in macchina, in cinque, stiamo viaggiando già da qualche ora.

Da un po’, non saprei dire quanto, siamo in silenzio. La strada è sterrata e devo tenermi stretta per non sbattere la testa contro il tettuccio della jeep. C’è il sole fuori, non un sole fastidioso, ma quel sole tiepido, primaverile, che ti scalda il corpo e ti fa brillare i capelli. Ogni tanto va dietro una nuvola.
Stiamo percorrendo una pista ai piedi del deserto, di fianco a noi, per un paio di chilometri, c’è solo terra secca, in lontananza si vedono le dune dove inizia il Sahara marocchino.
Seguo con lo sguardo la forma delle dune, mi perdo a fissare il percorso di una crepa nella terra, guardo, ma non vedo niente. Sono ipnotizzata dal vuoto attorno a me, dal movimento della macchina, dal paesaggio che si sussegue sempre uguale ma diverso, come una decorazione geometrica nei quaderni delle elementari.
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10 cose che ho scoperto in Marocco: tra magia nera, sesso e cicogne.

1. In Marocco non si possono avere rapporti sessuali fino al matrimonio. Secondo la legge dello Stato, non solo per il Corano. Se due persone hanno rapporti prima del matrimonio rischiano da 4 a 8 mesi di prigione. Nel caso uno dei due sia sposato si sommano altri mesi per il reato di adulterio. Uno dei documenti che portano sempre con sè (come per noi la carta d’identità e la patente) è l’atto di matrimonio. In albergo non si può prenotare una camera matrimoniale senza esibire l’atto di matrimonio. Questo se almeno uno dei due è marocchino, ai turisti non fanno storie. Il matrimonio consiste in un semplice accordo tra gli sposi, senza grandi cerimonie come da noi. Il divorzio è previsto anche dal Corano.

2. In Marocco non ci si può sposare prima dei 18 anni. Questo significa che non si possono avere rapporti prima dei 18, altrimenti galera. Per fortuna in Italia non è così, se no altro che sovraffollamento delle carceri!

3. Su ogni casina, anche di fango, c’è una parabola. In un villaggio berbero sperduto tra i monti ne ho contate trenta. Credo che sia una cosa positiva, anche se mi fa molto pensare. Per loro è un modo di viaggiare, conoscere, imparare. Rimane il fatto che è difficile vedere la tv come priorità quando si fa fatica ad avere tutto il resto.


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Marrakech, il quartiere artigiano

Oggi vi vorrei portare nel quartiere artigiano di Marrakech, dove si mischiano odori e colori creando un luogo incredibilmente lontano da tutto quello che abbiamo visto fino ad ora.

Dietro al souk di Marrakech, nascosto nella Medina, si trova il quartiere artigiano di Marrakech. Un turista difficilmente lo trova da solo, e, se lo trova, perde la giornata cercando la strada per uscirne.
È un labirinto di vicoli tortuosi, stretti, che si intersecano l’un l’altro senza un senso logico, un incubo rispetto alle nostre città ordinate con cardi e decumani.
Un paradosso rispetto a New York con streets e avenues numerate.
Ci sono tantissime persone che lavorano qui, anziani e ragazzi giovani perlopiù, tutti uomini ovviamente. Non parlano tanto, sono tutti concentrati sul lavoro. I passaggi sono stretti e bui, ogni tanto la strada si allarga e si vede il sole. Molte persone ci sfrecciano accanto su biciclette o motorini, mentre noi, goffissimi, fatichiamo a passare con uno zaino.

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In Marocco si impara la generosità

Il ragazzo seduto di fianco a me in aereo è di Marrakech, ma vive in Italia da otto anni, in un paese a qualche chilometro da casa mia. Fa il metalmeccanico, ora è in cassa integrazione. Questa è la terza volta che torna a casa da quando è venuto a vivere in Italia, da otto anni, il volo per il Marocco costa molto e i soldi preferisce mandarli alla famiglia. Facendo un veloce calcolo io negli ultimi otto anni sono stata a Londra sette volte. Ho dormito più volte io al Russel House Hotel che lui nel letto di casa sua.

Vorrei lasciare la magia di Marrakech e il silenzio del deserto per i prossimi post e inaugurare i racconti sul Marocco parlando della cosa che più mi ha stupito e colpito di questo viaggio: la generosità dei marocchini.

Il nostro autista è un uomo sulla quarantina, in gamba, sicuramente non ricco, ma molto dignitoso, si chiama Skouri. Per pranzo si porta il pranzo al sacco, un panino integrale con formaggio e pomodori, avvolto nella carta stagnola. Lo tiene nel portaoggetti sotto al bracciolo tra i due sedili anteriori della nostra jeep 4×4. La seconda mattina del nostro viaggio stiamo attraversando un villaggio berbero tra i monti dell’Atlante: poche case, tutte fatte di fango e paglia, mezze sciolte dalle intemperie. Ci fermiamo per fare due passi e incrociamo due ragazzi, uno è senza gambe e l’altro spinge la sua carrozzina. Ci salutano sorridenti e noi rispondiamo al saluto con la mano. Skouri si stacca dal gruppo, in francese ci dice di proseguire, che ha lasciato una cosa in macchina. Noi continuiamo la nostra passeggiata affascinati dalla diversità dei paesaggi, delle persone, dai continui sorrisi aperti e luminosi. Mi giro verso la macchina per non perdere di vista Skouri e rimango fulminata dalla scena: entra in macchina, prende il suo panino e lo mette nella tasca del giubbotto del ragazzo in carrozzina. Il ragazzo lo ringrazia e si sporge per abbracciarlo, Skouri si abbassa e risponde all’abbraccio. Rimangono così per un po’, poi si salutano e lui si avvia verso di noi. Io mi rigiro in fretta, sentendomi un po’ in colpa per aver visto questo momento così personale, per avergli rubato l’intimità di un gesto che lui aveva appositamente fatto in maniera riservata. Ci raggiunge sorridendo, non dice niente, io gli sorrido e continuiamo a camminare. Dopo un po’ torniamo indietro e risaliamo in macchina. Proseguiamo qualche chilometro e poi ci fermiamo in un barettino per pranzo, lui ordina solo un caffè, “Ho fatto una colazione abbondante – ci dice – oggi niente panino”.
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