È appena iniziato novembre e a San Francisco ci sono 25° con un sole che scalda.
Poi ci sono le fochine, che vado a trovare ogni settimana e mi mettono sempre di buon umore.
C’è Halloween: la gente diventa matta e per strada incontri streghe, fantasmi, zombie e cadaveri. I più bellini sono i bibini minuscoli che hanno appena imparato a camminare e indossano vestiti da mostri un po’ troppo grandi per i loro mini corpicini. Di una tenerezza disarmante.
Ci sono tutte le persone che sto conoscendo e tutte le nuove esperienze che sto facendo.
Vivere qui è davvero vivere al 200%.
Ogni sera vado a dormire con il sorriso e la mattina mi sveglio carica come una molla.
È il mio posto.
Salutare le fochine alla fine di una giornata di lavoro
Come molti di voi sapranno, il Pier 39 di San Francisco è casa di tantissimi leoni marini.
(Che sono leoni marini appunto, non sono foche, sono leggermente diversi, ma io le chiamo fochine perché è più carino, quindi fingete con me che siano foche. Fochine.)
Insomma queste fochine abitano al Pier 39: le piattaforme di legno su cui approdavano le barche gli sono piaciute e hanno deciso di appropriarsene. A un certo punto l’autorità portuale l’ha data vinta alle fochine e quindi adesso una decina di piattaforme sono considerate di proprietà esclusiva delle fochine.
Per il loro ozio sfrenato.
Loro praticamente possono serenamente nuotare nella baia e quando sono stanche tornano verso il molo e si spaparanzano al sole, una sopra l’altra, sulle piattaforme.
Al riparo da squali, correnti e altri fastidiosi imprevisti.
Queste fochine, che tanto “ine” non sono visto che sono dei bestioni da 300 chili che puzzano in maniera nauseabonda, passano la loro giornata a sonnecchiare sulle piattaforme cullate dalle onde sotto gli occhi dei turisti curiosi. Dormono dalle 8 alle 12 ore.
Per me le fochine sono uno spasso. Sono buffissime.
Mi mettono di buon umore all’istante.
Dormono una sopra l’altra ammassate come dei sacchi di patate e, quando si svegliano, per raggiungere l’acqua strisciano incurantemente e pigramente sopra le altre fochine addormentate, che sospirano e si lamentano più per abitudine che per fastidio.
Super goffe, schiacciano facce e sederi, pur di tuffarsi in acqua.
Potrei stare ore a osservarle.
Quando torno a casa, le sere che non ho troppa fretta, mi fermo al Pier 39 (che è a un paio di isolati da dove vivo io) per salutare le fochine.
Di solito quando arrivo il sole sta tramontando e tutto il molo si sta colorando di arancione.
Le fochine sono sempre lì, delle piramidi di ciccia sonnecchianti, che si rotolano una sopra l’altra lamentandosi con versi gutturali come facevo io quando mi dovevo alzare alle 7 per andare a scuola.
Sono ipnotiche.
La prendo con calma, sto lì almeno un quarto d’ora, appoggiata al parapetto, ad osservare i loro movimenti lentissimi.
Ce n’è sempre almeno una che ha completamente perso la dignità e se ne sta a pancia all’aria con la bocca aperta e le pinne ribaltate all’indietro, come se le avessero sparato.
Si può quasi percepire il godimento da abbandono completo, un ozio sfacciato e incurante.
Sono comportamenti così simili all’uomo che mi fanno ridere tantissimo.
Le fochine sì che sanno come godersi la vita.
Halloween è una cosa seria
Venerdì sono arrivata al coworking molto presto, intorno alle 7:30 perché avevo una call di lavoro con l’Italia (avendo 9 ore di fuso, la mattina presto è l’unico momento possibile).
Salgo le scale ancora addormentata, lascio il computer sulla scrivania, vado in cucina con l’intenzione di trangugiare un litro di caffè e mi trovo davanti una zucca di un metro e ottanta con gambe e braccia.
Faccio un salto di mezzo metro e strillo come se avessi visto un fantasma (quasi).
Scott ridacchia da sotto la maschera e poi mezzo sconvolto mi fa: “ma scusa perché te sei vestita normale?”
Gli spiego che mi ero dimenticata che fosse Halloween. E poi non è che mi diano troppo gusto i travestimenti.
Si toglie la zucca di plastica dalla testa e mi guarda come se avessi detto un’eresia.
“Voi italiani siete strani” e poi si ricaccia la zucca nel cranio.
NOI.
Detto da quello vestito con una tunica marrone e arancione di pelliccia e una zucca di plastica in testa.
Completamente in testa, eh, solo con i buchi per gli occhi, il naso e la bocca.
Di quelle cose che dopo dieci secondi che le indossi fanno tutta la condensa bagnaticcia all’interno e te rischi l’annegamento nel tuo stesso vapore acqueo.
Neanche sotto tortura.
Lui invece ha lavorato tutto il giorno indossando la zucca. Praticamente un superpotere.
Io torno al mio posto ridacchiando, pensando “che figata la gente che ci crede così“, e mi trovo davanti un Kyle di 2 metri x 2 che indossa un paio di corna demoniache.
Cioè immaginatevi tipo l’Orso Yoghi con le corna del demonio. E lo smalto nelle dita. Violetto.
Poco dopo arriva Alissa, lei è vestita da galassia.
Poi arriva lo gnomo, il cowboy, Forrest Gump, diversi diavoli, una renna arancione.
Insomma la più scema ero io che non ero vestita.
E cercavo di fare call di lavoro circondata da un girone infernale.
L’anno prossimo gli ho promesso che mi invento qualcosa, dovesse essere anche solo un cerchietto con le corna preso dal superstore cinese a tutto $1 su Market Street.
Ho già l’ansia, però che bello che è essere in un posto dove c’è davvero qualcuno che è talmente carico da lavorare tutto il giorno con una zucca di plastica infilata in testa.
Il tabù della nostalgia
San Francisco è una città di passaggio.
Tantissime persone vengono qui per un periodo della loro vita, per vivere questa città, per spremerla, per poi tornare a casa con lo zaino pieno di esperienze uniche al mondo.
A San Francisco ci sono poche famiglie, pochi nonni, pochi bimbi, rispetto a una normale città.
Ci sono tante persone tra i 20 e i 35 anni che vogliono vivere con il piede sull’acceleratore.
Da quando sono qui ho conosciuto solo una persona nata a San Francisco, San Franciscan born&raised, una solamente. Tutte le altre sono nate in giro per il mondo.
Tantissimissimi americani da ogni parte degli States, molti asiatici, una marea di messicani, qualche europeo (pochini).
La prima domanda che ci si fa appena conosciuti è “da quanto sei qui?“.
Dopo aver conosciuto decine e decine di persone nella mia situazione, che stanno vivendo il loro sogno lontano da casa, ho iniziato a notare un pattern: la nostalgia è un argomento difficile.
Mi spiego.
L’altra sera eravamo in un pub a bere una birra:
io – romagnola nel midollo,
Amy – inglese doc da Durham,
Carley – supermega americana di Philadelphia,
José – spagnolo poi trapiantato in UK poi in Irlanda,
Jon – inglesissimo del Devon.
Si stava parlando di quanto vivere a San Francisco fosse incredibilmente bello e stimolante.
La conversazione era partita da me che, esaltatissima, stavo raccontando di un incontro davvero interessante fatto per caso a un evento.
Eravamo tutti mezzi ciucchi, reduci da un barbecue sul rooftop di casa di Hannah (New York) e John (Warwick, Rhode Island).
Tutti emozionati di essere finalmente nel nostro posto nel mondo.
Il succo di tutta la conversazione era: San Francisco è l’ombelico di tutto (e io credo di sì, sul serio, almeno in questo momento storico).
10 minuti buoni di glorificazione, un crescendo di aneddoti strabilianti e elogi a questa città che ci ha rapito il cuore.
Poi a un certo punto – sdeng – una nota stonata.
“Però a me manca troppo il cibo italiano” dico io.
Cala il silenzio.
Mi guardano tutti un po’ storditi e imbarazzati come se avessi detto un segreto impronunciabile.
Carley accenna timidamente un sorriso e con lo sguardo sognante dice:
“Se penso al tacchino che cucina mia mamma durante il Thanksgiving mi vene l’acquolina in bocca!”
Incalzo:
“La mamma è sempre la mamma! La mia non cucina, ma mi manca lo stesso, San Francisco sarebbe ancora più perfetta con la mia mamma qui.”
SBAM! Vaso di Pandora aperto!
Le facce degli altri al tavolo erano tipo “ma quindi non succede nulla se diciamo che ci manca la mamma? è ammesso?”.
Da lì in poi IL DELIRIO!
Carley ha iniziato a farci vedere le foto della sua famiglia durante il Thanksgiving dell’anno scorso, quando sua mamma ha imbottito il tacchino con due limoni per far finta che avesse le tette.
José ci ha raccontato di suo nipote di un anno che viene fotografato in tutte le situazioni più assurde del mondo. L’ultima: alla guida di un auto. Con video in spagnolo di cinque minuti annesso.
Amy era disperata perché al suo ragazzo era appena stato negato il visto e non avrebbe potuto raggiungerla, a Jon manca il suo carlino e correre lungo le scogliere inglesi.
Storie da ogni parte del mondo, sospiri, foto di mamme sorridenti, sorelle e fratelli con le stesse facce, cagnolini lontani migliaia e migliaia di chilometri, cibi goduriosi da paesi lontani (qui immaginatevi me che mostro le foto dei cannoli siciliani e non mi capacito di quanto loro non si rendano conto di cosa si stanno perdendo).
Questo delirio di amore e nostalgia sana ha fatto nascere un’altra conversazione: secondo voi perché la gente non lo dice che gli manca casa?
Abbiamo passato l’ora seguente ad analizzare i comportamenti degli expat – sia mentre sono a San Francisco, sia quando tornano temporaneamente a casa.
Ne è venuto fuori un mix di pensieri: dall’orgoglio di chi parte, alla voglia di sentirsi “nuovi”, alla paura di mostrarsi deboli.
La gente se ne va da casa per tanti motivi, alcuni positivi, altri – spesso – meno.
Io sono tra i fortunati che ama tantissimo casa sua, che vuole bene all’Italia, ed è partita seguendo un sogno. Non per delusione, non per scappare, non per rivalsa, non perché l’Italia mi avesse fatto del male o mi stesse stretta. Non ho mandato a quel paese nessuno, non ho ingigantito particolari aspettative di “far fortuna all’estero”, non ho tagliato ponti o lasciato cose a metà.
La mia è stata una partenza “positiva”.
Ho solo seguito il mio sogno, con l’intenzione di venire qui per un pezzettino di vita, imparare il più possibile, riempire il mio zaino fino a farlo scoppiare, per poi tornare indietro in Italia e mettere a frutto tutto quello che ho imparato qua. Chi mi conosce lo sa: per quanto minuscola sia la parte che faccio io, sto lavorando per l’Italia anche da qua.
Io all’Italia voglio un bene dell’anima e sono orgogliosa di essere italiana.
Sono tra quelli che credono che rimboccandosi le maniche si possano davvero cambiare le cose.
Ma non è così per tutti.
Se uno parte dicendo che se ne vuole andare dal suo Paese perché è ingiusto/vuoto/cattivo/ladrone/sempliciotto/banale/letargico (mentre la nuova città è magnifica/splendente/piena di opportunità) poi difficilmente ha voglia di mettersi a nudo dicendo che gli manca.
Se te ne vai da un posto pensando che tutti quelli che rimangono siano dei coglioni, poi effettivamente la nostalgia diventa un tabù.
Non può mancarti, non puoi farti vedere debole, non puoi dargliela vinta.
Quindi la nostalgia la ricacci giù quando viene a galla.
E non ne parli.
E guardi l’Irene con gli occhi fuori dalle orbite quando in un pub di San Francisco, un giovedì sera, ti dice che le manca la mamma.
Anche se lo sai che anche la tua ti manca da morire.
Abbiamo parlato per tutta la serata di questo: di quanto le due sensazioni di felicità assoluta per essere qui e di nostalgia acuta di casa/amici/famiglia possano convivere.
E di quanto effettivamente convivano nel cuore di tutti quelli che vivono lontano da casa, che lo vogliano ammettere o no, più o meno serenamente.
Ed è una convivenza sana, fatta di nuove esperienze entusiasmanti, nuovi incontri che cambiano la vita, nuovi orizzonti inaspettati, pur avendo il cuore legato stretto a un elastico lungo diecimila chilometri che ha l’altro capo nel centro della Romagna.
Inizialmente parlavo della mia “nostalgia felice” in modo inconsapevole, nel senso che non mi rendevo conto di essere strana rispetto agli altri, non mi rendevo conto di scatenare un particolare disagio nelle altre persone.
Dopo la conversazione dell’altra sera ho iniziato a pensarci tantissimo a questa cosa.
Sono contenta di essere in grado di far convivere dentro di me la felicità pura per essere qui e la voglia di riabbracciare mia sorella.
Senza orgogli, sensi di colpa, imbarazzi.
Sono felice da scoppiare qui e contemporaneamente ho nostalgia di casa.
Non cambierei neanche un dettaglio della strada che mi ha portato fino qui, comprese quelle radici così forti che mi hanno permesso di fare un salto tanto lungo.
Venerdì mattina sono arrivata al coworking, ho salutato Kyle, che come vi ho detto aveva in testa due corna da mostro demoniaco perché era Halloween e c’era la gara per il miglior costume, e gli ho chiesto: “A casa tua di solito come lo festeggi Halloween?“.
Stordimento iniziale (si potevano quasi leggere i suoi pensieri: “Casa, ha detto casa, faccio il duro o dico la verità? Dico ‘niente di speciale, qui è molto meglio?’ oppure apro i rubinetti?“) – poi Kyle ha aperto i rubinetti.
Abbiamo passato i successivi 10 minuti a vedere i video che gli manda sua mamma su Whatsapp del suo cane vestito da zucca intento a capire cosa gli stia succedendo che cerca invano di uscire da questa trappola arancione.
Io credo che la nostalgia, quella buona, non quella triste che non fa soffrire, ma quella felice che fa apprezzare le cose lontane, vada esaltata, non nascosta.
È bello dire alle persone lontane che ti mancano a che non vedi l’ora di riabbracciarle.
Se vivete lontano dalla vostra mamma, dal vostro babbo, da fratelli, sorelle o dalle persone a cui volete bene, fate in modo che sappiano più spesso quanto vi mancano.
Brava, brava, brava! La prima parte delle fochine è praticamente un Racconto a se. Mi sono sentita io stessa una fochina 😀 Nella seconda parte hai sviscerato in maniera semplice ed incisiva il tema della ‘nostalgia positiva’. Io dico che i tuoi colleghi sono fortunati ad averti nei paraggi!
Eheh! Mi rendo conto che questi Dispacci stanno diventando sempre più lunghi e sempre più ingombranti nel blog, ma ho così tante cose da dire!
Ho già il prossimo a metà 🙂
Credo tu abbia toccato solo in parte il problema della “nostalgia”.
Il fatto è che a tutto quello che dici si aggiunge l’abitudine tutta anglosassone di non raccontare quasi mai particolari della propria sfera privata, la loro convinzione che le storie di “casa” non interessino gli interlocutori che non siano i propri familiari.
Abitudine contagiosa, tra l’altro, che contamina anche quei centro-sudamericani che abbiano passato un sufficiente periodo di tempo in USA o UK.
Poi quando gli dai la via, per fortuna, tornano normali 🙂
La diversità è ricchezza, anche (o forse soprattutto) nei rapporti sociali. È bello portare un po’ di noi nel mondo e non uniformarci troppo. Prendere solo il meglio e portare il meglio di noi; è la mia religione 😉
—Alex
È verissimo quello che dici!
Dall’altra parte io non parlavo solo degli anglosassoni, ma anche per esempio degli italiani expat che quando tornano in patria ammettono difficilmente quanto abbiano realmente sentito la mancanza di casa.
Ciao! ^_^
Molto bella la riflessione sulla nostalgia. A me piace pensare che la nostalgia sia sempre di segno positivo, se è negativa la chiamo rimpianto e la considero una corsa diversa 🙂
(Le fochine! Quanto belline sono così spatasciate? 😀 )
Oltre al rimpianto c’è quella nostalgia triste che ti fa venire la voglia di tornare a casa.
Le fochine sono la felicità pura, guarda! È come guardare un bimbo che dorme, solo che è sono grassissime e puzzolenti! 😀
Ciao Irene!
Leggo il tuo blog da qualche mese, ma è la prima volta che aggiungo un commento! Prima di tutto ti voglio fare i complimenti per il blog, scrivi in maniera coinvolgente, e le tue foto sono fantastiche! Parlo del tuo blog con la mia coinquilina, e mi spiace lei non lo possa leggere (è Russa!) ma forse, se traducessi, le tue parole perderebbero di coinvolgimento…
Insomma, scrivo ora perché mi trovo in una situazione simile: trapiantata in Bahrain da quasi 3 anni, per lavoro (neolaureata che ovviamente non ha trovato lavoro in Italia!). 6 mesi fa, ero pronta a tornare in Italia, mi mancava troppo. Poi, ho trovato lavoro in un’azienda che mi dà ciò che sognavo. Sono “costretta” in Bahrain fino alla fine del contratto in Maggio 2017, e poi sarò libera di andare ovunque – e davvero ovunque! – nel mondo per continuare a crescere in quest’azienda.
Tornerò in Italia? Non nel 2017. Tornerò, certo. L’Italia è la mia casa, l’Italia è il mio sangue, ma quando hai l’opportunità di avere il lavoro dei tuoi sogni, nell’azienda dei tuoi sogni, ovunque nel mondo – beh, ti senti “costretta” ad andare. Tornerò in Italia alla fine, quando mi vorrò fermare, quando vorrò una posizione che sia l’ultima prima della pensione.
Mi manca casa, mi manca la mia mamma, il mio papà, mio fratello, il mio cane. Mi manca il cibo della mia mamma. Mi manca cucinare con prodotti che sanno di Italia, e non di frigorifero (purtroppo qui è difficile trovare prodotti freschi e buoni e che non ti costino un rene!)
Ma sono felice qui, ho amici da ovunque nel mondo (solo nel mio team siamo 2 filippine, 1 italiana, 1 indonesiano, 1 bahraini, 1 tailandese e 1 rumeno!!) e la nostalgia c’è, ma è una buona nostalgia…
Divertiti a San Francisco!
Giulia che spettacolo di commento!! Mi hai fatto troppo felice con la condivisione della tua storia, ti prego torna più spesso, voglio il tuo punto di vista su queste pagine!
Che storia che sei in Bahrain da tre anni, com’è la qualità della vita? Il clima? Sono troppo curiosa! Mi sembri super serena, quindi mi dà l’idea che sia un bel posto per vivere 🙂
Ciao Irene!
Il Bahrain è un Paese piccolino, caldo come Dubai (45/50° d’estate, minimo 10° d’inverno). Non c’è molto da fare, ma si impara ad apprezzarlo. E’ un buonissimo posto dove essere expat: niente tasse (wohoo!!), prezzi convenienti per mega appartamenti arredati e con piscina, palestra e saloni per feste nel condominio. Qui la crisi non si vede molto, visto che hanno il petrolio!!
Le scuole sono di alto livello, soprattutto quelle private dove i figli degli expat studiano. Conosco un sacco di persone con figli che parlano 3 lingue a 10 anni! E’ così il futuro, non quello degli Italiani che hanno difficoltà a parlare del meteo in Inglese!
Porca misera 50° d’estate! Io mi ricordo che a Dubai mi sembrava di avere sempre un phon puntato in faccia!
Da come lo descrivi sembra proprio un bel posto da chiamare casa, d’altra parte come l’Italia ce ne sono pochi di posti al mondo 🙂
Vorrei capire meglio….Ma esattamente il travestimento da galassia…come si presenta?!?!?? O_o
Un vestito nero con delle stelle! Giuro! Io l’ho vista e non ci ho fatto neanche caso, poi lei è venuta da me e mi ha detto: “Ti piaccio vestita da galassia?” e io “Aaaaaaa! Chiarissimo! Classico vestito da Halloween” o_O
Il Pier 39 è splendido, con le fochine e anche senza. 😀
Sono contenta che tu ti stia ambientando e adoro i tuoi dispacci! Sono anche io, come The Escape Diaries, incuriosita da questo travestimento da Galassia… si necessita di qualche delucidazione.
Ahah! Niente di speciale, un vestito nero con delle stelle, ma ho apprezzato la fantasia 🙂
Il Pier 39 anche a me piace tanto, ma è un po’ commericialone.
Le cose più belle sono le fochine ciccione e la vista di Alcatraz + Golden Gate. TOP.
Che bellezza questo post!!
Non ho potuto fare a meno di ridere come una pazza leggendo delle fochine sparapanzate al sole che un attimo dopo vagavo per casa armata di fazzoletti e lacrimoni da coccodrillo..
E’ due mesi che ormai mi sono trasferita in Irlanda, lontana dalla famiglia, dagli amici e dai miei gatti, e non posso fare a meno di sentire la loro mancanza.
Non rimpiango di essere partita, anzi molto spesso mentalmente mi do una bella pacca sulla spalla e mi dico “brava Irene, fai questa esperienza e vedrai quante cose imparerai”.
Ed è così, davvero!
Ma rimpiango a volte di essere una di quelle persone che non parla mai della sua vita “precedente”, per questo ti ringrazio molto per questo post e aspetto con ansia di leggere altre tue avventure.
Sono pronta adesso ad asciugare i miei lacrimoni da coccodrillo, magari stasera andare a bere una birra con degli amici, e parlare delle cose meravigliose che abbiamo lasciato nei nostri paesi.
Chissà magari posso anche raccontare delle fochine di Pier 39 a San Francisco!
A presto,
Irene.
Brava Irene! L’Irlanda dev’essere bellissima e anche tostina, pacche sulle spalle anche da oltre oceano!
E vedrai che se racconti ai tuoi amici davanti a una birra quanto ti mancano i tuoi gatti sicuramente salteranno fuori storie incredibili 🙂
Un abbraccio da qua, facciamoci forza a vicenda!
Ma ciao Irene <3 OVVIAMENTE ho letto il post appena pubblicato ma non ho avuto tempo per commentare!
Bello questo dispaccio 2×1: uno per le fochine puzzolenti e super dolci e uno che mi ha fatto accapponare la pelle con la questione della nostalgia taboo.
Non posso che condividere ogni parola che hai scritto..
Purtroppo io sono tra quelli che in Italia non vedono molte possibilità per realizzarsi professionalmente e sogno di poter andare altrove per tornare un giorno perché l'Italia é un paese meraviglioso.
Non ho problemi a confessare quanto il mio paese mi manchi anche quando sono fuori per poco tempo eppure qui ora come ora mi sento in gabbia.
Sono combattuta perché so che andando via mi mancherà da morire la mia casetta, la prima tutta mia e del mio amore, mi mancherebbe sentire mia sorella e mia madre come e quando voglio.. Mi mancherebbe da morire il cibo ma davvero da morire e anche la mia migliore amica.
Ammettere le proprie debolezze ci rende più forti non bisogna mai vergognarsi dei propri sentimenti.
Ti abbraccio forte forte e ps mandaci un pochettino di sole <3
Quando poi sei lontana scopri anche un sacco di piccole cose sciocche che ti mancano da matti: il sapore del pane, il minestrone della mamma, passeggiare sotto i portici del centro.
Diciamo che vivere lontano da casa è più difficile di quanto mi sarei aspettata, ma in questo momento ho anche più soddisfazioni di quanto mi sarei aspettata, quindi compenso bene 🙂
Che meraviglia Irene 🙂
Arricchisci te e anche un po’ noi con i tuoi racconti, così divertenti e pieni di emozioni vere verissime!
Ps: per l’anno prossimo ti devi impegnare con il costume!
Ci vuole qualcosa che superi la sola idea di poter sembrare una galassia! 😉
Un abbraccio
Camilla
Che belli che sono sempre i tuoi commenti, mi fanno fare dei sorrisi giganti!
Io per i travestimenti sono una schiappa vera, ma il prossimo anno qualcosa mi invento, promesso 🙂
Lo so, avrei dovuto commentare giorni fa, ma volevo avere tempo. Sì, mi piace avere tempo anche per un commento e così.. eccomi qui, a rileggere di nuovo questo post con un po’ di nostalgia ed emozione. Vorrei abbracciarti. Non per consolarti perché so che sei strafelice di essere lì e che contemporaneamente ti manca casa. E’ perché credo nella potenza e bellezza di un abbraccio. Quindi, ti abbraccio virtualmente. 🙂
E poi, ti volevo dire (ancora e ancora) che scrivi benissimo. Penso sempre che vorrei essere capace di scrivere come te. Penso lo stesso quando finisco un bel libro, articolo, saggio o leggo altre poche blogger che adoro dal punto di vista letterario. Brava, di cuore.
Ti abbraccio di nuovo.
Hai sempre – SEMPRE – delle parole bellissime e confortevoli.
Ricambio l’abbraccio e ti ringrazio di cuore per quello che mi dici, mi hai fatto felice 🙂
Fochine e dintorni. Splendido post, as usual!!!
Post(i) nuovi, emozioni sulla corsia di sorpasso. Nessun casello in vista.
Al massimo una breve sosta all autogrill (“giovedì sera”?). E poi di nuovo
Col piede sulla acceleratore. Destinazione? Restare sulla corsia di sorpasso.
Sono appena tornato dal Giappone. A Okinawa ci sono delle isole tropicali fantastiche dove si nuota assieme alle tartarughe giganti. Buffe come le fochine, suppongo.
Sei li, nuoti con la maschera ammaliato dai mille colori dei pesci e dei coralli splendidi quando alla improvviso da un lato, da dietro, spunta questo animaletto buffo (la tar5aruga) che girando il muso verso di te sembra dica: e tu che pesce sei?? 🙂
Sempre a proposito di sorpasso.
La nostalgia ci indica dove sono i fili della nostra anima..
Le tartarughe (o le fochine) la solleticano.
Per questo ci fanno sorridere. Almeno credo.
La mia guida zen annuirebbe.
🙂
Grazie Irene per i post sempre bellissimi.. e come ti capisco! Vivo in Cina da tre mesi, conto di fermarmi fino al prossimo agosto.. e non posso che condividere tutto quanto scritto sulla nostalgia. Mi manca casa mia, le risate con i miei genitori, gli abbracci e i “ti voglio bene” di mia sorella. Non può essere altrimenti, dato che, come dici tu, anche io sono partita per un motivo “buono” e non per scappare. Però mi faccio forza, perché è difficile ma non sono una che molla, e i tuoi post mi aiutano. Grazie davvero di cuore.
Ah, grazie mille anche per la parte sulle fochine, mi sembrava d’essere lì 🙂
Sono proprio felice che siano d’aiuto perché quando si è lontani da casa si ha più bisogno di coccole del solito 🙂
Spero che la Cina ti stia facendo vivere un’esperienza indimenticabile e piena di gioie.
Un abbraccio dall’altra parte del mondo!
Grazie, as usual!! 🙂
Mi è piaciuto tanto questo commento, soprattutto quando dici che la nostalgia ci indica dove sono i fili della nostra anima. È così vero. E così puro.
Grazie.
Quanto tempo sarai li? che lavoro fai? ti conosco poco purtroppo .. ma io amo l’america quindi capisco come ci si senta a svegliarsi in quella meraviglia di …. tutto!
racconta racconta…ancora ancora!!
Ciao Manuela!
Sono qui per lavoro da settembre e tornerò a casa per Natale, poi probabilmente mi rimanderanno qui! Vediamo! Mi sto divertendo un bel po’ 🙂