Vedere le cose da nuovi punti di vista è sempre interessante.
Durante il #CostaBlogTour ho avuto la possibilità di scoprire cosa c’è dietro una crociera. Quante persone, quanti incastri, quanta organizzazione ci sono dietro ad una vacanza in cui si viene coccolati e viziati dall’inizio alla fine.
Non solo quante persone, ma che persone, soprattutto.
La prima mattina a bordo della Costa Atlantica abbiamo avuto il grande onore di fare il tour behind the scenes, dietro le quinte, della nave.
La prima tappa è stata il metal detector: per accedere alle aree riservate è necessario superare controlli e non portare macchine fotografiche, cellulari o qualsiasi apparato elettronico. Per questo nel post non ci saranno mie foto, mi dispiace, dovrete usare la vostra immaginazione.
Appena si arriva sul ponte di comando manca il fiato: davanti c’è tutto mare, attorno schermi e pannelli di controllo di ogni genere, dall’anti incendio alla sicurezza degli ascensori, dal radar al controllo macchine. Osserviamo tutto con un silenzio reverenziale, gli occhi si fanno spazio attraverso le tante levette, lucine, attraverso tutti i grafici che hanno tanto da dire a chi li sa capire e che per noi sembrano solo dei quadri astratti.
Un ufficiale ci spiega il funzionamento della nave con la stessa padronanza con cui io potrei raccontarvi di come mangiare un piatto di tagliatelle. È in divisa, avrà più o meno la mia età, è emozionato, usa termini semplici ed è molto professionale. Fa piacere sapere di essere in buone mani.
Poi ci fa vedere il timone della nave. Quello che muove tutto.
Io mi immaginavo qualcosa del genere:
Di legno, possibilmente vecchissimo, levigato dalle tantissime mani di capitani esperti che lo hanno stretto per guidare la nave attraverso i sette mari!
Ecco, no.
Nella realtà si avvicina molto di più a questo:
Ma ancora più piccolo.
La metà della metà.
Per una nave che è grande quanto la piazza della mia città, su undici piani. Not bad.
Dopo un bel po’ di chiacchiere con gli ufficiali lasciamo il ponte di comando per andare alla scoperta delle cucine. Decisamente il mio luogo preferito…
I locali sono immensi. Sono divisi in base alla tipologia di piatto: reparto antipasti, primi, contorni, secondi, dolci e lavaggio piatti. Gli spazi sono luminosi e aperti, già dalla mattina ci sono tantissime persone all’opera per preparare il pranzo. Io mi ipnotizzo ad osservare i ragazzi che preparano il dolce. Intanto lo fanno sorridendo e scherzando tra loro, cosa che già di per sé è bella. Stanno facendo una torta, che arriverà sui tavoli degli ospiti in piccole porzioni quadrate formate da tanti strati diversi, spolverate di zucchero a velo. Quello che vedo io invece sono lenzuoli di pan di spagna e calderoni di cioccolato, mestolate di crema pasticcera e teglie chilometriche. I cuochi si muovono con una leggerezza da far invidia a un ballerino e rovesciano chili di cioccolato sulla base della torta che potrebbero essere facilmente stesi con la cazzuola. Veder preparare piatti in grandi quantità ha sempre qualcosa di affascinante.
Lo chef ci fa poi vedere tutte le altre parti della cucina.
I camerieri hanno dei banconi da dove ritirano i piatti pronti, per andare più velocemente in sala utilizzano delle scale mobili interne che portano al ristorante.
Un altro particolare che mi ha colpito molto è stata la raccolta differenziata. In cucina viene fatta molto attentamente, ed è un aspetto che viene curato molto su tutta la nave, tanto che viene differenziato il 100% dei rifiuti: nelle zone di lavoro dell’equipaggio per distinguere l’alluminio dal ferro ci sono le calamite vicino ai bidoni. I rifiuti delle camere vengono invece ricontrollati e separati cestino per cestino dal personale della Costa. Magari può sembrare un dettaglio, ma a me ha colpito molto, anche perché non è scritto da nessuna parte, quindi non è una mossa di immagine, è un valore vero.
Dopo la cucina scendiamo tante scale e raggiungiamo il reparto magazzino.
Quantità industriali di tutto quello che serve sulla nave: montagne di zucchero, foreste di carta igienica, intere coltivazioni di mele. Tutto, tutto quello che serve a cinquemila persone per una settimana. Migliaia di litri di latte. Sacchi di pasta a perdita d’occhio. Ogni tipologia di cibo ha il suo magazzino chiuso da un’immenso meccanismo e controllato a vista dai custodi.
Poi le celle frigorifere con un freddo polare (posso testimoniare, ci sono entrata dentro perché ero curiosa, ho starnutito due ore). La macelleria, la panetteria, c’è tutto a bordo.
Dietro a questi magazzini pieni di cose c’è un’organizzazione che non si fa sfuggire nemmeno un barattolo di fagioli. Tutto è pianificato e monitorato. Tantissime persone lavorano sodo e bene per farti avere la bustina di zucchero al posto giusto al momento giusto. Mi piacerebbe pensarci più spesso per dare il vero valore alle cose.
Qualche rampa di scale più in basso e raggiungiamo la lavanderia. Qui ci lavorano solo ragazzi cinesi. I cartelli sono in cinese e loro chiacchierano e scherzano in cinese. A primo impatto è strano. Poi ci spiegano che poiché lo staff è internazionale, le diverse nazionalità vengono concentrate nei vari reparti per semplificare il lavoro: come la lavanderia è gestita da uno staff cinese, così la security è gestita da indiani.
Il capo della lavanderia è un ragazzo giovane che zoppica un po’ in italiano ma ci fa dei sorrisi da un orecchio all’altro che si perdona facilmente.
Ci fa vedere delle lavatrici immense e una fila di asciugatrici che neanche da Mediaworld.
Ma la cosa che mi ha colpito di più è stata la zona stiratura: due stanze, un rullo in mezzo, quattro ragazzi, due da una parte e due dall’altra, i lenzuoli entrano stropicciati e escono meravigliosamente lisci e perfetti.
Per non parlare del metodo per stirare le camicie e le maglie. Una specie di busto di un manichino sgonfio. Gli si mette la camicia, si accende, il manichino si gonfia di aria caldissima e dopo dieci secondi la camicia è stirata perfettamente.
Il sogno di ogni casalinga.
Una cosa tipo questo, una rivelazione:
Ancora stordite ed estasiate per il manichino stiracamicie ci portano a visitare il teatro dietro le quinte.
Prima di mettere piede sulla Costa Atlantica io non avevo nemmeno idea che su una nave da crociera ci fosse un teatro. L’unico vago ricordo simile era una tristissima discoteca popolata da tedeschi in sandalo antistupro nel traghetto per la Grecia. Già io me la ghignavo pensando al behind the scenes della balera in nave, e invece aprono le porte e ci troviamo in un teatro vero. Un palco enorme, due piani divisi in galleria e platea, luci incredibili.
Stanno provando il musical per la sera con dei ballerini con dei culi marmorei che. E niente noi ci dirigiamo nei camerini dalle sarte. Vabbè.
I camerini sono proprio come nel mio immaginario: specchi con le lampadine attorno, boa di piume lasciati sulle sedie, copricapi di scena grandi come la mia televisione e tempestati di paillettes. Un posto veramente magico, peccato non averlo potuto fotografare. Il tecnico responsabile del palco ci presenta le sarte (ben due per ogni crociera) e ci racconta che tutte le sere va in scena uno spettacolo diverso, addirittura in alcune occasioni salgono a bordo delle compagnie apposta per presentare il loro spettacolo e per poi scendere al porto successivo.
Rimaniamo un po’ a curiosare tra gli abiti di scena e poi salutiamo tutti, ringraziando per lo splendido tour che ci hanno riservato.
Due cose mi hanno colpito più di tutto.
Uno. Parlando con crew e staff ci si accorge, tra le righe, di una grandissima complicità tra colleghi, di un mondo, che gli ospiti sfiorano solo, che è immenso e fatto di relazioni intense. Queste vivono insieme in mare per tanti mesi, ogni giorno lavorano insieme, mangiano insieme, si divertono insieme. Qualcuno si innamora, qualcuno si lascia, nascono amicizie e rapporti di grande stima. Da chiunque ti sentirai rispondere che quella di imbarcarsi è stata la scelta migliore della vita.
Due. Più di mille persone lavorano in una crociera, il rapporto con gli ospiti è 1:3. C’è davvero tanta professionalità nell’offrire un servizio senza far notare all’ospite l’immenso lavoro che c’è dietro.
Un’ultima cosa: una sera, ritornando in cabina, ho incrociato un signore filippino che tornava dal suo giro di pulizia delle camere. Mi ha sorriso, io gli ho risposto con un sorriso. Poi mi ha chiesto se andava tutto bene, e io gli ho risposto di sì. Ho fatto qualche altro passo, poi mi sono rigirata verso si lui e gli ho chiesto “e lei, tutto bene?”. Lui è rimasto esterrefatto, mi ha guardato un po’ smarrito, poi sul suo viso si è allargato un sorriso e mi ha risposto “molto bene, grazie di averlo chiesto”.
E’ stata una delle cose più interessanti della minicorciera. Avere questa possibilità ci ha permesso di scoprire un mini mondo organizzato alla perfezione. Inimmaginabile se non si vede con i proprio occhi.
Fabio
Sì, è stato veramente interessante. Dà molto più valore ad un’esperienza vedere il lavoro che c’è dietro.
L’ultima frase mi ha commosso…
Anche a me 🙂
Per mia esperienza in crociere più lunghe, ti assicuro che sia col cameriere di cabina che con quello/i al ristorante, si riesce a creare proprio un rapporto personale. Cosa che nell’hotel classico difficilmente succede.
Solo una come te (e lo dico in senso buono, ovviamente) poteva pensare di rispondere in quel modo… una che elargisce sorrisi a destra e a manca per rendersi e rendere la giornata più piacevole… da te c’è solo da imparare.
È uno dei ricordi più belli di quel viaggio. Grazie di avermelo ricordato 🙂
L’aver chiesto “Come stai?” al signore delle pulizie mi ha fatto quasi commuovere (non in senso figurativo, ho trattenuto le lacrime!). Ho sempre avuto un debole per la gente che si fa in quattro per gli altri e non riceve riconoscimento. Pensa che io aiuto i camerieri a sparecchiare il tavolo quando sono ad un ricevimento…
Mi guardano con stupore ed incredulità, poi mi sorridono…e questo mi scalda il cuore…
Grazie per questo commento, provo le tue stesse sensazioni e sono felice che questo sia un posto per condividerle 🙂
Ho trovato per caso il tuo articolo e voglio ringraziarti per ciò che hai scritto. Conosco bene il mondo di cui parli perché è stata la mia casa per sei anni. Lavoravo infatti proprio tra le persone che hai descritto così bene, cogliendo veramente una buona parte dell’anima e del senso di quella vita/lavoro, cosa che di solito non appare mai quando si parla di crociere.