In Italia la parola ‘moschea‘ non viene associata ad un pensiero felice.
Ci hanno abituato a vederla come una fucina di terroristi, integralisti, pocodibuono in generale. Si sa che gli italiani hanno il pregiudizio facile. Anche se non vuoi una puntina di quel pensiero ti raggiunge e si annida dentro di te, e lì rimane. Tu ci puoi provare a restarne fuori, ma finché non tocchi con mano, e quindi il pregiudizio diventa giudizio, quella vocina rimane.
Prima di andare a Istanbul mi immaginavo le moschee come luoghi rigidi, seriosi.
Poi le ho viste coi miei occhi.
Sono posti meravigliosi, pieni di colore, di tappeti, di persone, di luce.
Da fuori sembrano delle torte con decorazioni di zucchero, dentro sono calde, luminose, accoglienti.
Prima di entrare i fedeli si lavano i piedi perché devono essere puliti fuori, oltre che dentro.
Persone di ogni tipo si siedono vicine per lavarsi: dal professionista al venditore ambulante, dal ragazzo appena fatto, al nonno. Si lavano lentamente, con cura, si preparano e si purificano prima della preghiera.
Si entra a piedi scalzi e si cammina su tappeti morbidi e bellissimi.
Le persone si raccolgono anche molto prima dell’orario della preghiera, si trovano qui per chiacchierare: la moschea non è solo un luogo di preghiera, è un luogo di ritrovo. Entrano con in mano il loro sacchettino per le scarpe e si siedono a terra a chiacchierare. O passeggiano parlando fitto.
E poi pregano, e tutti le voci diventano una sola.
Unica pecca, dal mio punto di vista occidentale: gli uomini e le donne sono divisi. O meglio, gli uomini pregano al centro della moschea, le donne vengono relegate in un’area dedicata, quasi sempre dietro una grata. Vederle così fa male al cuore, ci si sente quasi in colpa verso queste donne ad essere nate in un paese libero e tollerante.
Finita la preghiera ognuno esce da solo e torna alle proprie occupazioni quotidiane. Lentamente la moschea si svuota e rimane solo tanta luce e tanto silenzio. Fuori la giornata continua normalmente, per le strade quasi ci si dimentica di essere a Istanbul, si respira un’aria europea.
Fino alla prossima preghiera, quando il muezzin salirà sul minareto e ricorderà a tutti che è il momento di incamminarsi verso la moschea.
Davvero bello il tuo post.
Ho visitato la Siria quando ancora la situazione era tranquilla e sono tornato più e più volte nella moschea degli Omayyadi,la terza moschea più importante di tutto l’islam.
La cosa che più mi ha stupito è stato vedere i bambini giocare e correre all’interno di un luogo sacro. Una pratica davvero impensabile per noi cattolici, abituati alle atmosfere ingessate e rigide delle chiese.
Ricordo però con meno piacere in canto notturno del muezzin che mi svegliava puntualmente attorno alle tre di notte 🙂
Ho una foto (che non ho potuto caricare perché si vedono le facce) di due bimbi, un maschio e una femmina, che giocano con le mani cantando una filastrocca. Seduti per terra al centro di una moschea. In una chiesa non potrebbe esistere..
peccato doveva essere proprio bella:(
Che voglia di partire….
Dopodomani si parte per il Marocco 🙂
Ci sono stato…in moto…meraviglioso!!! Torna con un pò di racconti!!
Ho visitato anch’io la moschea di Istanbul e posso confermare quello che tu dici. Attendo post su Marocco. Buon viaggio! Erika
Domani dovrei riuscire a pubblicare un primo post sul Marocco!